mercoledì 23 luglio 2014

ADATTAMENTI ANATOMO FISIOLOGICI INDOTTI DALL'ESERCIZIO FISICO SUL SISTEMA CARDIO CORCOLATORIO


Nel 1884 Bergmann osservò come il cuore di animali selvaggi fosse più grande di quello dei loro consimili tenuti in cattività. Nel 1899, Henschen, tramite la percussione del torace, notò per la prima volta come il volume cardiaco degli sciatori di fondo fosse più ampia di quella dei soggetti sedentari. Egli osservò inoltre che i cuori più grossi appartenevano a coloro che vincevano le gare, traendo la conclusione che l’ingrandimento del cuore coincidesse con migliori prestazioni fisiche. Henschen trasse la conclusione che l’aumento di volume del cuore in atleti doveva essere considerato del tutto fisiologico. Successivamente, grazie alle metodiche diagnostiche, radiologiche ed ecocardiografiche, si è evidenziato che:
  • Il volume cardiaco può anche raddoppiare (passando da 600-800 ml fino a 1300-1500 ml);
  • L’ingrandimento è a carico di tutte le cavità (armonico) e si estende anche ai grossi vasi; 
  • Paragonando atleti di ieri e di oggi, le dimensioni del cuore ingrandito sono pressoché identiche, il che suggerisce l’esistenza di un limite naturale per l’ingrandimento cardiaco (relazionabile alla taglia dell’atleta).

Gli adattamenti, che si verificano a livello del cuore in seguito alle sedute allenanti, causano modificazioni nella morfologia e nelle dimensioni delle camere cardiache sinistre, del setto interventricolare, della massa cardiaca e degli apparati valvolari. Le modificazioni sono strettamente correlate con il tipo di sport praticato dal soggetto. L’attività di endurance è quella che ha il maggior impatto sul ventricolo sinistro, che tende a presentare una camera cardiaca più ampia ed un aumento dello spessore delle pareti musco- lari. Le variazioni spesso si mostrano al di sopra dei limiti definiti fisiologici, a tal punto da assomigliare alle condizione patologiche tipiche della cardiomiopatia ipertrofica (quando lo spessore delle pareti è superiore a 13 mm) o della cardiomiopatia dilatativa (quando la cavità ventricolare sinistra è superiore a 60 mm). negli atleti di resistenza il meccanismo che scatena le modificazioni morfologiche è dovuto all’aumento della gettata cardiaca (GC), che in attività può superare i 30 litri al minuto, e dai picchi pressori che in attività possono superare i 200 mmHg. Il diametro trasverso del ventricolo può arrivare fino a 70 mm, considerato il limite nell’ingrandimento determinato dall’allenamento. Rispetto ai quadri patologici, però, nell’atleta l’ingrandimento cardiaco è globale ed omogeneo e presenta una normale geometria ventricolare ed uno spessore delle pareti normale o aumentato. negli atleti di potenza si assiste invece ad un ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro, causato dai picchi pressori che il cuore deve sopportare durante l’attività, che possono arrivare tranquillamente a 200 mmHg, e a volte anche a 300 mmHg. La camera cardiaca ventricolare sinistra non presenta invece variazioni importanti, modificandosi solo lievemente. Negli atleti lo spessore delle pareti ventricolari non supera in media i 15-16 mm, misura considerata il limite dell’ipertrofia fisiologica indotta dall’allenamento. L’ipertrofia cardiaca, come avviene per l’aumento della capacità del ventricolo, è simmetrica e regolare, diversamente da quello che succede in soggetti afflitti da cardiopatia ipertrofica, nei quali l’ipertrofia è tipicamente asimmetrica. Atlete femmine, paragonate ad atleti maschi della stessa età, praticanti le stesse discipline sportive, mediamente presenta- no cavità ventricolari di volume inferiore di circa il 10% ed uno spessore delle pareti ventricolari inferiore di circa il 20%. Tali differenze sono essenzialmente dovute a:
  • taglia corporea inferiore;
  • Percentuale di massa magra inferiore;
  • Aumento più modesto della portata cardiaca e della pressione arteriosa sistolica durante lo sforzo;
  • Livello di ormoni androgeni naturali più basso.

A livello dell’atrio sinistro, si assiste ad un ingrandimento del volume della cavità, superiore alla condizio- ne fisiologica. L’atrio destro subisce invece un aumento di volume proporzionato a quello del ventricolo omolaterale.



Diminuzione della frequenza cardiaca.


L’esercizio fisico induce bradicardia a riposo, ovvero diminuzione della frequenza cardiaca. Tale situazio- ne si evidenzia se si confrontano soggetti fisicamente attivi (45-50 bpm dopo periodi di allenamento inten- si e prolungati) con soggetti sedentari. Si nota anche quando soggetti non allenati, una volta sottoposti ad un programma di allenamento, vedono la loro frequenza cardiaca a riposo diminuire. Tale adattamento si instaura già dopo 10-15 giorni di attività ed è precoce in soggetti sedentari. Le cause di tale fenomeno sono diverse e possono essere così riassunte:
  • Ipertono vagale;
  • Ridotto tono simpatico;
  • Controllo intrinseco della frequenza cardiaca;
  • Meccanismi nervosi periferici (riflesso barorecettoriale);
  • Condizionamento genetico.
È da notare come l’esercizio per gli arti superiori induca una bradicardia inferiore rispetto a quello per gli arti superiori. Il cuore è innervato dal sistema nervoso autonomo (SNA), costituito da una parte detta sistema simpatico (che provoca un aumento della frequenza cardiaca), e da una parte detto sistema parasimpatico (che provoca una diminuzione della frequenza cardiaca). Una altro fattore importante è la frequenza intrinseca del nodo seno atriale (nodo SA), zona del miocardio deputata alla genesi degli impulsi eccitatori che determinano il ritmo contrattile del cuore. Il nodo SA di un soggetto allenato, a riposo rallenta la propria frequenza intrinseca. Tale fenomeno è dovuto alla maggiore quantità di acetilcolina (un neurotrasmettitore del sistema parasimpatico) ed alla diminuzione della sensibilità del tessuto cardiaco alle catecolamine (i neurotrasmettitori del sistema simpatico adrenalina e noradrenalina). La predominanza del sistema parasimpatico sul nodo SA, conseguente alla riduzione dell’attività simpatica, è molto proba- bilmente da imputarsi alla riduzione del tono del sistema simpatico causato dall’allenamento all’esercizio.

Aumento del volume della gittata sistolica


La gettata cardiaca in condizioni di riposo e pressoché uguale in soggetti allenati e non allenati, mentre la frequenza cardiaca a riposo è minore negli allenati rispetto ai sedentari. Si può quindi dedurre che il volume della gittata sistolica (GS) risulta maggiore negli individui allenati. La situazione è particolarmente evidente negli atleti di endurance che, come già detto, presentano una cavità ventricolare più ampia, con conseguente maggiore quantità di sangue che riempie il ventricolo durante la diastole. Il miocardio inoltre, in seguito all’allenamento, aumenta la sua capacità contrattile. Ciò avviene in parte a causa dell’aumento dell’attività ATPasica del muscolo cardiaco ed in parte a causa di un’accresciuta disponibilità di calcio extracellulare, che determina una più efficace interazione tra questo ione e gli elementi contrattili. Un altro fattore importante è dato dal fatto che il maggior riempimento diastolico, dovuto ad un aumentato ritorno venoso al cuore, causa un allungamento delle fibre muscolari miocardiche, con conseguente maggior forza contrattile durante la sistole.
Questo fenomeno è descritto dalla legge di Starling che evidenzia come, tanto più le pareti muscolari del ventricolo vengono stirate, in seguito ad un aumento della quantità di sangue in entrata durante la diastole, tanto più intensa sarà la successiva contrazione durante la sistole, e maggiore sarà la quantità di sangue pompata. Ciò avviene anche in assenza di stimoli nervosi o ormonali. All’aumento della lunghezza delle fibre miocardiche prima della contrazione corrisponde dunque un aumento della forza contrattile del miocardio. Ciò è vero fino ad una certa lunghezza limite, oltre la quale la forza contrattile cardiaca inizia nuovamente a decrescere.

Aumento della vascolarizzazione del cuore


Il cuore possiede una propria vascolarizzazione, definita circolo coronarico, costituita dalle arterie coro- narie. Queste si diramano dalla radice dell’aorta e, dopo aver circondato il cuore con un decorso a forma di corona, penetrano nel miocardio, distribuendo il sangue alle cellule cardiache. In conseguenza all’allenamento ed ai fenomeni di ipertrofia sportiva del miocardio, si assiste ad un aumento distrettuale della densità dei capillari. Il cuore, in qualità di muscolo che trae energia quasi esclusivamente il sistema aerobico, ha bisogno di un costante ed importante afflusso di ossigeno. L’aumento di flusso sanguigno determinato dalla maggiore capillarizzazione indotta dall’allenamento, consente un migliore rifornimento di ossigeno e nutrienti al cuore. Questa modificazione, oltre a migliorare il metabolismo cardiaco, è utile a prevenire possibili patologie dovute a occlusioni del circolo coronarico, quali l’angina e l’infarto. Le principali modificazioni a cui si assiste sono:
  • Aumento della capillarizzazione del miocardio;
  • Aumento del calibro dei vasi coronarici epicardici (anche fino al 100%,passando da 2-4 mm a circa  7 mm); 
  • Ridotta reattività agli stimoli vasocostrittori (probabilmente a causa della riduzione del numero di recettori adrenergici e di una ridotta secrezione di catecolamine).

Riduzione delle aritmie cardiache


Le aritmie cardiache, o disturbi del ritmo dei battiti del cuore, possono causare gravi problemi cardiaci, incluso l’infarto e perfino la morte. Si è rilevato che la regolare pratica di esercizio fisico tende a ridurre la predisposizione del cuore a disturbi del ritmo. Il meccanismo fisiologico in gioco responsabile del fenomeno non è del tutto chiaro, tuttavia, esso può essere ricondotto ad una riduzione della produzione di adrenalina e noradrenalina.

Riduzione della pressione arteriosa


Numerosi studi attestano i benefici apportati dall’attività fisica nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Alcuni studi riportano una la diminuzione pressoria di 6-10 mmHg (sia per quanto riguarda la pressione sistolica che per quella diastolica) in seguito ad allenamento aerobico regolare. Gli effetti benefici dell’al- lenamento sulla pressione arteriosa sono dovuti a numerosi fattori tra cui i più importanti sono:

  • Aumento del numero di capillari a livello muscolare e cardiaco, con conseguente diminuzione delle resistenze periferiche;
  • Maggiore apporto di sangue e ossigeno a tutti i tessuti, in particolare al muscolo cardiaco; 
  • Riduzione sia dello stress transitorio, che dello stress a lungo termine, grazie al rilascio di sostanze
    euforizzanti che intervengono nella regolazione dell’umore (endorfine). 
  • Riduzione delle resistenze periferiche grazie alla riduzione dell’attività di alcuni ormoni e dei loro recet-
    tori (catecolamine) e all’incremento del letto capillare; 
  • Effetto positivo che l’attività fisica svolge sugli altri fattori di rischio relativi ad altre patologie che spesso  si associano o causano l’ipertensione, quali ad esempio il diabete, le dislipidemie e l’obesità. 

Riduzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi ematici


Recenti ricerche hanno evidenziato come l’esercizio fisico, oltre a ridurre i livelli di colesterolo ematico tota- le, induce un incremento della frazione di colesterolo legata alle lipoproteine ad alta densità (HDL) ed una contemporanea diminuzione di quella legata alle lipoproteine a bassa densità (LDL). Il colesterolo, infatti, insolubile in acqua, non circola libero nel plasma, ma associato a proteine trasportatrici, le lipoproteine. Le dimensioni delle lipoproteine dipendono dalla quantità di grassi e proteine che si legano insieme; quelle ad alta densità risultano costituite da una maggiore quantità di proteine rispetto a quelle a bassa densità. Da vari studi è emerso come le percentuali delle diverse frazioni lipoproteiche del colesterolo rappresen- tano un indicatore più sensibile, come fattore di rischio vascolare, rispetto alla semplice concentrazione totale del colesterolo ematico. Un’elevata concentrazione di lipoproteine HDL, costituite da una maggiore frazione proteica ed una minore frazione di colesterolo, si associa ad una riduzione di rischio vascolare, mentre un aumento della frazione lipoproteina LDL è associata ad un aumento dello stesso. Si ritiene, infatti, che le lipoproteine LDL rappresentino il mezzo per veicolare i grassi a tutte le cellule dell’organismo, incluso l’endotelio delle arterie. Proprio in questa sede, nel processo di aterosclerosi, si verifica un deposito di colesterolo con progressivo restringimento del vaso. Mentre la frazione LDL è coinvolta nel processo di deposizione del grasso, la frazione HDL è invece coinvolta nella sua rimozione, anche a livello delle pareti delle arterie; essa riporta i grassi al fegato dove vengono metabolizzati e veicolati nella bile. Molti studi hanno dimostrato, come detto precedentemente, che l’allenamento fisico determina nell’uomo una riduzione del colesterolo ematico totale, dei trigliceridi, e della concentrazione di LDL e contemporanea- mente un aumento del colesterolo HDL. I dati di cui oggi disponiamo indicano quindi che, sia gli individui con alti livelli di colesterolo totale, LDL e trigliceridi, che quelli con bassi livelli di HDL, ottengono favorevoli modificazioni di questi valori in seguito di un adeguato programma di allenamento protratto nel tempo.

Variazione della capacità di coagulazione del sangue


Un coagulo, insediandosi in un’arteria coronarica, può determinare un infarto cardiaco. Se il coagulo ostrui- sce la stessa arteria ove si è formato è detto trombo. Se invece il coagulo, formatosi in un’arteria, è successi- vamente trasportato in un’altra arteria, ove provoca ostruzione, è detto embolo. La coagulazione del sangue implica una complicata serie di reazioni biochimiche scatenate da un tessuto danneggiato o traumatizzato, quale potrebbe essere la parte interna di un vaso arterosclerotico. La placca eteromatosa ha una superficie ruvida sicché, con lo scorrere del sangue su di essa, si instaura facilmente il meccanismo della coagulazione. Se vengono alterati il tempo di coagulazione e quello occorrente per la dissoluzione del coagulo, saranno di conseguenza alterati anche la rapidità di formazione ed il numero di coaguli che si formeranno. L’esercizio fisico, provocando un aumento della capacità fibrinolitica, unita ad una diminuzione della adesività piastri- nica, costituisce un fattore in grado di ridurre l’incidenza e la gravità della malattia coronarica.

Aumento del volume ematico totale


L’allenamento regolare comporta una aumento significativo sia del volume ematico totale (volemia), che del contenuto totale di emoglobina. Che questi due valori svolgano un ruolo importante per il sistema di trasporto dell’ossigeno è reso evidente dal fatto che entrambi sono strettamente correlati con il massimo consumo di ossigeno del soggetto (VO2 max). Una maggiore volemia consente al cuore di raggiungere maggiori gettata sistolica e gittata cardiaca durante l’attività fisica, e può facilitare la cessione di ossige- no a livello tessutale. Un maggior volume di sangue conferisce inoltre al soggetto allenato un vantaggio nella termoregolazione, sia in quanto il calore corporeo profondo viene trasportato dal sangue fino alla periferia, sia perché il sudore proviene dal plasma.

Modificazioni respiratorie


Gli effetti dell’allenamento sul VO2Max sono stati oggetto di studi approfonditi. Non vi è dubbio che esso aumenti per effetto dell’allenamento, ma l’entità del suo incremento varia notevolmente e dipende da un certo numero di fattori. Innanzitutto si assiste ad un aumento del’estrazione di ossigeno dal sangue in con- seguenza alle modificazioni, sia enzimatiche che di altra natura biochimica, che si verificano nei muscoli per effetto dell’allenamento. I dati di cui oggi disponiamo indicano che le modificazioni della gettata cardiaca e dell’estrazione di ossigeno dal sangue contribuiscono in misura all’incirca pari all’aumento del VO2Max. La massima ventilazione al minuto aumenta per effetto dell’allenamento. Dal momento che la ventilazione non è un fattore limitante per il VO2Max, l’incremento del suo valore massimale dovrebbe essere considerato secondario. Comunque, questo incremento è determinato da aumenti sia del volume corrente che della frequenza respiratoria. Gli atleti hanno, tendenzialmente, maggiori capacità di diffusio- ne polmonare, sia a riposo che durante esercizio, rispetto agli individui sedentari. Ciò è particolarmente vero per gli atleti di resistenza. Si ritiene che, di per sé, la capacità di diffusione non sia direttamente influenzata dall’allenamento, ma che sia piuttosto dovuta all’incremento dei volumi polmonari che si verifi- ca negli atleti, e che rende disponibile una superficie alveolo-capillare più estesa. È stato inoltre dimostrato un incremento sostanziale della mioglobina contenuta nel muscolo in seguito all’allenamento. Questa risposta è risultata essere specifica, in quanto l’incremento di mioglobina è stato osservato solo nei muscoli impegnati dal programma di allenamento. Hickson ha dimostrato che gli incrementi di mioglobina sono associati alla frequenza delle sedute di allenamento: con 2, 4 e 6 giorni di allenamento settimanali, i livelli di mioglobina sono aumentati rispettivamente del 14, 18 e 26%.

Pressione arteriosa e lavoro muscolare


Sforzi fisici statici, con contrazioni isometriche, possono generare pressioni intramuscolari tali da compri- mere le arterie e quindi ridurre da un lato la perfusione muscolare. Contemporaneamente, aumentando la resistenza alla circolazione del sangue, si riduce il ritorno venoso al cuore e la gittata cardiaca cala. In risposta a questa situazione si verifica un aumento del tono ortosimpatico nel tentativo di mantenere la gittata cardiaca a livelli normali e, a causa dell’aumento delle resistenze periferiche, si assiste ad un considerevole aumento della pressione arteriosa. L’entità della risposta ipertensiva come reazione a sforzi di questo tipo (ad esempio la pratica del bodybuilding) può essere pericolosa in soggetti portatori di patologie cardiovascolari, in particolare se non allenati. Viceversa, nel corso di attività fisiche aerobiche (marcia, nuoto, ciclismo, jogging) che coinvolgono contrazioni muscolari con sviluppo di bassa forza, alternate al rilasciamento, il quadro cardiovascolare è dominato da una riduzione delle resistenze peri- feriche, che riflette il fenomeno della vasodilatazione nei distretti muscolari interessati. Inoltre, la ritmica contrazione e il rilasciamento dei muscoli facilita l’azione di pompa sul ritorno venoso. Si assiste pertanto, nei primi dieci minuti di attività, ad un calo della pressione sistolica, causato dalla vasodilatazione nel territorio muscolare (e cutaneo se è richiesta anche una risposta termoregolatrice). Successivamente la pressione arteriosa sistolica sale nuovamente, fini a stabilizzarsi, fra 140 e 160 mmHg. L’attività aerobica può essere dunque consigliata ad un soggetto coronaropatico perché coinvolge grandi masse muscolari in esercizi ritmici di bassa forza.
Nonostante gli esercizi che comportano lo sviluppo di forze elevate causino un marcato aumento della pressione arteriosa, rispetto ad esercizi di tipo aerobico, non risulta che questo effetto ipertensivo sia duraturo. L’allenamento regolare riduce infatti con il tempo l’effetto ipertensivo. Sollevatori di pesi allenati mostrano una risposta ipertensiva meno marcata rispetto a soggetti non allenati. Nel corso di un lavoro aerobico a carico progressivamente crescente, ad esempio ottenuto aumentando l’inclinazione di un tread- mill, si osserva come dopo un forte e brusco aumento la pressione sistolica si stabilizza, mentre la pressione diastolica sale solo lievemente. Il fenomeno si attribuisce al grande aumento della gittata cardiaca. La risposta è del tutto simile in soggetti allenati e non allenati.
Ad una determinata percentuale della massima potenza aerobica si è osservato che le pressioni arteriose sistoliche e diastoliche sono maggiori se il lavoro è eseguito sfruttando la muscolatura delle braccia rispetto a quella delle gambe. Pertanto, per soggetti portatori di patologie cardiovascolari è sconsigliato usare un programma di allenamento per sole braccia.

Dopo un periodo di lavoro sub-massimale di tipo aerobico, di intensità bassa o media, sia in soggetti normotesi che ipertesi, si riscontra un periodo di ipotensione che può durare fino a 12 ore. Ciò è dovuto al fatto che per un certo tempo si mantiene una condizione di vasodilatazione nei muscoli. Questo effetto ipotensivo conferma l’importanza dell’attività fisica regolare di tipo aerobico come strumento terapeutico per il trattamento dell’ipertensione.

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